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Per non replicare a Marcomenic in modo generico avevo cominciato a leggere alcuni dei documenti a cui rimanda il suo link – documenti provvisti davvero di tutti i caratteri di serietà scientifica che noi vorremmo, “come da regolamento”, anche per i nostri. Io però ho qualche difficoltà a spostarmi dal piano prettamente storico, da cui la discussione era partita, per venire alla stretta contemporaneità, a cui vedo sono dedicati gli studi di Marco. E questo per una ragione semplice, anche se difficile invero da mettere in due parole, riguardante gli stessi mezzi concettuali di cui ci si continua a servire per procedere su questi temi.
Provo a spiegarmi. Quando noi guardiamo al passato, possiamo anche essere attratti e colpiti da tante individualità con tratti assai spiccati (e Sant’Agostino è un caso esemplare), ma di fatto l’unica cosa che per tradizione riconosciamo e comprendiamo è innanzitutto l’opera dei grandi Soggetti collettivi che sono hegelianamente i veri protagonisti delle vicende storiche. Lo stesso cristianesimo dei primi secoli è esemplare al riguardo; sorto come risposta del tutto individualistica alle angosce interiori dei singoli in quanto tali, e dunque in una prospettiva del tutto edonistica e apolitica (basti pensare al sovrano disinteresse di San Paolo per ogni questione pratica che non riguardasse l’imminente avvento della Gerusalemme celeste), assai presto il cristianesimo diviene istituzione e comincia a proporsi come guida del costume e delle scelte morali in sostituzione dell’ideologia imperiale in disfacimento. In tal modo la stessa attenzione per le esigenze strettamente individuali di salvezza dal dolore e dalla morte, finisce sempre più per essere subordinata alla necessità di mantenere in piedi un qualche ordine politico collettivo.
Così per esempio - come si diceva nei precedenti post sulle concezioni morali di Agostino a proposito del matrimonio - rispetto alla stessa ricerca di “purezza” individuale, funzionale all’individuale salvezza, finisce per prevalere il ruolo del matrimonio come cellula fondamentale della gerarchia sociale, così che anche la sposa più timorata doveva finire per sottostare ad una condotta sessuale depravata del coniuge, pur di non mettere a repentaglio il legame matrimoniale. Si continuava pur sempre a blandire la speranza edonisticamente individuale nei godimenti della città celeste, ma oramai le esigenze della Città terrena e della sua sopravvivenza erano non meno importanti e per molti aspetti oramai prevalenti anche per la stessa Chiesa.
Così in tutta la storia successiva, sui singoli individui e sulle loro pulsioni individuali si sono sempre imposti come del tutto preponderanti le costrizioni e i vincoli delle grandi soggettività collettive. In conseguenza anche le analisi e le interpretazioni di tali vicende hanno potuto giustamente essere assai più di tipo storico-sociologico che di tipo psicologico e meno che mai biologistico, i cui abbozzi, nei pochi tentativi seri che pure son stati fatti in passato, sono poi sempre stati accolti con totale avversione, da Hegel a Mommsen, da Croce agli strutturalisti. Sennonché quando veniamo al giorno d’oggi, questa dialettica relativamente semplificata viene meno o comunque non appare più sufficiente. Noi viviamo oramai nell’”epoca del compiuto nietzscheanesimo”, cioè in un epoca in cui nessun vincolo imposto agli individui dalle esigenze dei grandi soggetti collettivi è più accettato pacificamente, almeno in Occidente. L’annuncio della “morte di Dio” era appunto la metafora profetica dell’auspicata fine di ogni costrizione dall’alto sugli impulsi e i desideri della singola individualità, la quale così rivendicava il proprio diritto ad “esprimere sé stessa” in piena e totale libertà. Oggi questa profezia, seppure ritradotta nei modi prosaici e meschini della nostra realtà quotidiana, va effettivamente realizzandosi e nell’ambito della sessualità, come in ogni altro, ognuno di noi considera la propria soggettività come “prius” logico a partire dal quale va giudicato e categorizzato il mondo intero.
Certo proprio per questo ci si lagna continuamente dei condizionamenti che ad essa imporrebbero l’industria di massa, le multinazionali, le ideologie dominanti, i “poteri forti”, etc. etc. ma a veder bene la condizione attuale è remotissima oramai da quella del passato, e le stesse grandi entità collettive, nella misura in cui sopravvivono, sono anch’esse a loro volta sempre più diretta espressione delle nostre soggettività individuali, in una dialettica quantomeno paritaria. Per spiegarmi in termini che spero non appaiano semplicistici, mi chiedo: le mode che oggi vediamo prevalere e che tanto spesso condizionano in modo così totalizzante gruppi di individui, per esempio tipicamente le generazioni più giovani, sono forse realmente espressione di arcane soggettività sovrastanti che le concepiscono a capriccio o per i loro particolari interessi e le impongono con forza palese o subdola, così come avveniva ancora, per esempio, nel conformismo cortigiano dell’”époque classique”, nel perbenismo borghese dell’800 o nei totalitarismi del ‘900? Io personalmente non lo credo.
Posso convenire senz’altro che esistano “centrali” che pianificano certe ventate culturali, certi canoni di moda, ma nel farlo, lungi dal perseguire fini loro propri, in realtà sono in ascolto proprio delle tendenze e dei desideri che nascono dalla massa come pura sommatoria degli individui particolari. Se la sessualità è diventata uno dei massimi business della rete, come Marco anche illustra in alcuni suoi papers, non è perché la grande industria culturale stia perseguendo un suo disegno tracciato a freddo per manipolare o, à la Foucault, per costituire la "natura umana" . In realtà i milioni di utenti che utilizzano la rete per trovare la pornografia a fini di semplice autoerotismo non seguono, a mio avviso, nessuna moda loro imposta. E' invece proprio questo dilagare dell’offerta, che va considerato come l’adeguarsi dell’industria alla richiesta crescente da parte di singoli soggetti che, affrancatisi dai vincoli imposti dall’educazione dei Soggetti collettivi (la Chiesa, la morale borghese, l’esigenza di rispettabilità, etc.), non hanno più remore di sorta a perseguire come fondamentale esigenza propria l’appagamento del proprio principio di piacere individuale, principio che ha una natura puramente biologica e del tutto preculturale.
Analogo discorso potrebbe esser fatto per un altro piacere che, seppur possibile solo in ambito sociale, può essere considerato come eminentemente individualistico e “apolitico” e cioè l’appagamento del proprio narcisismo. Così come per la pornografia, anche in questo caso la rete, come tutta la restante industria, corre a mettere a disposizione tanti piccoli palcoscenici affinché ognuno di noi possa appagare, se anche in modo per lo più minimale e fittizio, il proprio desiderio di protagonismo, di sentirsi per un attimo sotto gli occhi degli altri; desiderio questo (anch’esso nietzscheano “par excellence”) in cui come ognuno vede, ad essere protagonista è il singolo individuo come tale, nella sua singolarità non “parallela” a quella sociale, ma nietzscheanamente “antagonistica” ad essa (come mostra anche l’esplosione di aggressività e suscettibilità così tipica nei socialnetworks).
Insomma, assai probabilmente quella del conformismo imposto dall’alto è semplicemente una sorta di illusione ottica, dovuta al fatto che, come già sostenne Carl Menger nella sua critica allo storicismo, gli individui umani sono psicologicamente e biologicamente tutti eguali e quindi alla fine, pur seguendo ognuno impulsi e tendenze prettamente individuali, visti nell’insieme sembrano formare una massa omogenea quasi vi fosse una sorta di costrizione sovrastante ad uniformarli.
Ecco, se così dovesse essere, non so sinceramente fino a che punto i mezzi concettuali di tipo sociologico con cui noi affrontiamo l’analisi e la comprensione di questi fenomeni sia del tutto adeguata, a meno di non accontentarsi di un approccio puramente descrittivo. Lo stesso riferimento a Foucault è pertinente ma anche limitativo. Egli infatti ha descritto con grande acume (per quanto poi si sia in grado di comprenderlo) in che modo l’”uomo classico” sia stato in gran parte una costruzione artificiale delle strutture di potere; ma quando poi giustamente vede la crisi già in atto di tali strutture – Foucault dell’uomo non sa che annunciare la “morte”, come se davvero dietro l’uomo come costruzione sociale non debba residuare assolutamente nulla. In questo senso effettivamente la “bestemmia” antiumanistica di Foucault perde del tutto il confronto con la parallela profezia nietzscheana, che palesemente aveva voluto sfidare e l’’”ottimismo” di Nietzsche circa la possibilità dell’individuo di liberarsi dai condizionamenti dei soggetti collettivi si rivela assai più lungimirante del “pessimismo” tanto più recente di Foucault.
Che poi - e questo mi sembra davvero lo Hauptproblem del nostro tempo – siffatto uomo, così vitale e tutt’altro che intenzionato a farsi cancellare “comme à la limite de la mer un visage de sable”, non sia affatto il nobile ed elitario kouros della tradizione umanistica e filosofica cui ancora faceva riferimento il superomismo letterario e retorico di Nietzsche, ma siano piuttosto i milioni di piccolo-borghesi metropolitani sempre più svuotati di coscienza civile, alla ricerca dell’appagamento egotico ed isterico del proprio individuale Lustprinzip - è una conseguenza per la quale, non che Nietzsche o Foucault, ben pochi pensatori dell’oggi sembrano darci armi sufficienti di comprensione e di educazione.
In conseguenza mi sembra che per approfondire ulteriormente il senso dei fenomeni sociali che andiamo osservando attorno a noi, oramai non basti più il solo approccio sociologico-descrittivo (che mi sembra sia quello prevalentemente utilizzato da Marco), ma si dovrebbe operare in parallelo anche una sorta di “riduzione” in direzione di una psicologia di tipo naturalistico. Vorrei precisare che non sto alludendo alla cosiddetta “evolutionary psychology” (richiamata da Paolo) ed alle sue semplificazioni spesso banalizzanti se non grottesche; essa anzi mi sembra per parte sua un tentativo totalmente fallito d’un approccio naturalistico all’uomo, utile tutt’al più per comprendere come –non- procedere. Ma devo dire che sempre più si sente il bisogno che un tentativo del genere si rinnovi con migliori concetti, proprio per fornire al discorso sociologico, che resterà sempre indispensabile, quelle basi oggettive di cui il sociologismo tradizionale troppo poggiato sulla propria “struttura assente” ha sempre creduto di poter fare a meno. Se Nietzsche si è rivelato veramente il profeta del nostro tempo, penso che anche la scienza debba per parte sua adeguarsi a questo progresso, ammesso - e non concesso - che tale possa esser considerato. .
Edited by Institor - 10/4/2014, 11:43
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