La polemica di Pievani e Mancuso su scienza e religione.

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view post Posted on 9/6/2014, 11:25
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Fra gli altri titoli indicati da Eduardo per il “Progetto materialismo” c’è uno scambio piuttosto polemico fra il filosofo della biologia Telmo Pievani ed il teologo Vito Mancuso. Si compone di un articolo del primo sull’Almanacco di MicroMega del gennaio 2014, della replica di Mancuso pubblicata il 30 gennaio e infine della controreplica di Pievani dell’8 marzo.
Vorrei segnalare il link su Libgen per un altro numero precedente di Micromega, l’Almanacco della scienza del 2012/1, dedicato ai medesimi temi evoluzionistici e di filosofia della biologia. Il codice MD5 è fb2ca7fd03898d2e5ae0312b5c47aebf (copiare e incollare il codice nel campo del motore di ricerca di Libgen e spuntare MD5 nei Search in fields immediatamente sotto).

Visto che ci sono, vorrei anche riassumere le mie personali impressioni di lettura sul botta e risposta (i numeri di pagina delle citazioni si riferiscono al file .pdf postato da Eduardo).



Telmo Pievani e Vito Mancuso.

1. Alla ricerca del livello perduto.



Va detto in primis che i tre interventi non sono privi di un certo pathos, il che sarebbe ben comprensibile visto che si dibatte di Dio e del Cosmo, del Tutto e del Nulla, della Scienza e della Fede, etc.. E nondimeno, considerati anche i precedenti fra i due, si sarebbe potuto immaginare un confronto sostanzialmente pacato e amichevole. Quando tuttavia, dopo Dio e Darwin, si arrivano a tirare in ballo anche i medesimi Mancuso e Pievani e la loro statura di intellettuali, la polemica esplode virulenta. Così entrambe gli interlocutori, deplorando amaramente il malcostume dell’attacco personale e la mancanza di stile, si accusano (riporto il modo in cui essi stessi si citano vicendevolmente) di “stravolgere le conoscenze empiriche per fini propri”, di “travisamenti intenzionali e truffaldini di chi specula sulle notizie scientifiche per assecondare un proprio convincimento ideologico” , di “mal assortite citazioni “scientifiche” compiacenti” , di “inquinamento sistematico del dibattito filosofico sulla scienza”, di “citazioni estrapolate e pronte all’uso”, di essere “un modesto filosofo, una persona arrogante, dogmatica, financo volgare, uno che non pensa. Davvero un brutto ceffo” etc. (passim). Quando poi Pievani ricorre ad una metafora come quella del “grufolare”, Mancuso, che vede rivolto a sé qualunque sia pur generico accenno polemico dell'interlocutore, tira giù addirittura la Treccani per far toccar con mano al lettore la portata dell’offesa.
Insomma, bisognerebbe proprio che i nostri due interlocutori seguissero l’invito dello stesso Pievani, e cioè quello di non prendersi “così eccessivamente sul serio” e magari anche di “metterci un pizzico di ironia in più”. (p. 42)

Il fatto è che oramai tanto l'uno quanto l'altro sono entrati sempre più nella parte. In questi ultimi anni essi sono saliti man mano nella gerarchia degli eserciti non grandissimi che si affrontano nel dibattito culturale del nostro paese. Pievani, filosofo della biologia e direttore di Pikaia, sito dedicato all’evoluzionismo, è oramai il capofila più in vista del neodarwinismo ortodosso italiano. A dire il vero, in base ai parametri anglosassoni, il suo sarebbe giudicato senz’altro come appartenente alla corrente “di sinistra” del darwinismo, quella “riformista” alla Gould, Lewontin, Eldredge, Tattersall (questi ultimi due professori dello stesso Pievani). Tuttavia nel nostro contesto egli appare senz’altri fronzoli come un neodarwiniano duro e puro, con una chiara ispirazione atea e “scientista”.
Il teologo Mancuso per parte sua s’è caratterizzato sempre più come il rappresentante di un cattolicesimo “neomodernista” (legato particolarmente alla Milano degli anni dell’arcivescovato di Carlo Maria Martini) che evita di prendere di petto la scienza e la ragione e cerca di salvare il nucleo del messaggio cristiano anche attraverso una propria interpretazione dei grandi temi della fisica, della cosmologia e della biologia. Così, pervenuto di maturazione in maturazione allo straordinario coraggio intellettuale di rifiutare concetti quali il peccato originale o l’infallibilità dei papi, s’è guadagnato anche l’astio di una buona parte del mondo cattolico più conservatore che lo vede come una sorta di infiltrato del pensiero “laicista”. Né ciò peraltro gli è bastato per convincere tutti gli interlocutori nel secolo. Anzi è proprio questo suo tentativo di non rimanere rinserrato all’interno della rete concettuale e letteratura specifica della sua disciplina, e di stabilire un contatto e possibilmente una qualche osmosi fra discorso teologico e discorso scientifico - ad esser il vero motivo delle critiche che in questa occasione gli vengono mosse da Pievani.
Per quest’ultimo infatti (in conformità evidente alla dottrina gouldiana dei Non-Overlapping Magisteria), fra religione e scienza dev’esserci rispetto, ma anche una rigorosa separazione. Così il teologo avrà sempre pieno diritto a proporre le proprie dottrine come “un atto di fede, che liberamente contraddice il dato scientifico o lo ignora” ; quello che però gli può e deve esser contestato è la sovrapposizione dei due discorsi attraverso l’uso mistificante “di una stampella scientifica, di “indizi”, di scienziati divisi, di citazioni estrapolate e pronte all’uso.” (p. 16)

Ora, a prescindere dal riferimento particolare a Mancuso o ad altri, è ben difficile non dare ragione a Pievani sul punto in via di principio. Religione e scienza – pur trattando per larga parte i medesimi grandi temi - non possono essere considerate semplicemente come due visioni della realtà e dell’uomo diverse ma che si affrontano e si confrontano muovendosi sul medesimo terreno e che quindi possono scambiarsi all’occasione concetti e teorie. La religione non ha, come la scienza, un fine propriamente conoscitivo, ma intende offrire innanzitutto, come rileva Pievani, un “messaggio consolatorio” di “rassicurazione esistenziale”. Quindi essa ha già fissato sin dall’inizio il risultato a cui pervenire: è la dimostrazione - “frutto di un ardente desiderio e non di una ricognizione dei fatti” - che l’uomo ed i suoi valori hanno un posto eccezionale nella realtà del Tutto e che ad essi non è riservato dunque il medesimo destino di dissoluzione e annientamento che aspetta lucrezianamente qualsiasi entità macroscopica. Ora, è oggettivamente ben difficile conciliare il rispetto dei dati osservativi e il rigore delle argomentazioni che il discorso scientifico esige, con questa pretesa di prefissare sin dall’inizio il risultato della propria ricerca, e dunque ha ben ragione Pievani ad ammonire che “se confondiamo il bisogno di qualcosa con la sua esistenza reale, c’è il rischio pressoché certo di una sovrapposizione di piani.” (p. 18)
La responsabilità dell’intellettuale che opera una tale sovrapposizione è peraltro assai grave perché il grande pubblico inconsciamente non aspetta altro, essendo, oggi come sempre, per lo più una “platea ansiosa di carpire il messaggio consolatorio”. Tale pubblico, ben consapevole oramai della forza ed dell’autorevolezza della scienza, più che alla ripetizione dei soliti testi religiosi vecchi di migliaia di anni e zavorrati dall’ignoranza dei tempi loro, guarda con particolare interesse a quelle nuove concezioni religiose che si rifanno, o sembrano rifarsi, ai risultati della ricerca scientifica più recente. Per Pievani tuttavia in tal modo si guadagna consenso servendo una pietanza contaminata, in quanto a suo avviso il generale consuntivo che la scienza può offrire ai nostri giorni, va in direzione inequivocabilmente contraria: essa sempre più ha dimostrato e va dimostrando la vacuità e illusorietà di qualsiasi pretesa antropocentrica dell’uomo.
L’irritazione di Pievani è poi tanto maggiore in quanto questo “inquinamento sistematico” è portato avanti approfittando di una sorta di “quinta colonna” rappresentata da quegli scienziati che, guadagnata credibilità con scoperte genuinamente scientifiche, si sono poi lasciati andare anch’essi, in altre opere, a divagazioni filosofiche o religiose in cui investono, non sempre in modo coerente e conseguente, il proprio prestigio accademico.
Da tutto questo nasce dunque il tono piuttosto aggressivo del primo intervento di Pievani; dall’impazienza di vedere l’opera di sana divulgazione della scienza in qualche modo compromessa dalla strumentalizzazione fatta da intellettuali che, come Mancuso, 1) perseguono un intento non conoscitivo, ma religioso; sono cioè alla ricerca di un messaggio consolatorio prima e a prescindere da quanto la scienza realmente racconta; 2) non hanno una competenza sufficiente per comprendere il vero valore dei risultati scientifici di cui pretendono di servirsi; 3) approfittano delle divagazioni, spesso del tutto soggettive, di alcuni accreditati scienziati, inducendo il pubblico dei lettori a credere che siano anch’esse parte del loro lascito scientifico.

Su questa base Pievani propone una sorta di categorizzazione del discorso scientifico e della sua divulgazione, distinguendo cinque diversi livelli. Il livello 1 è costituito dai “dati sperimentali crudi” o “grezzi” su cui nessuno discute perché vengono considerati universalmente acquisiti. Notiamo di passaggio che per Pievani un esempio di “dato grezzo” non è solo l’evoluzione in sé, ma anche la sua spiegazione di tipo precipuamente darwiniano, cioè la selezione naturale (“Il nesso mutazione-selezione non è un’interpretazione: è un fatto. Non è evoluzionismo, è l’evoluzione. E’ il nocciolo scientifico della spiegazione evoluzionistica corrente (primo livello).” p. p. 23). Ora, concordiamo con Pievani, per quel che vale, sulla forza straordinaria del concetto darwiniano di selezione naturale, ma sinceramente si farebbe fatica a dar ragione dell’immensa letteratura di discussioni e polemiche a proposito di tale concetto, nate sin dai tempi della sua prima formulazione e non ancora esaurite, se esso non fosse altro che un “dato sperimentale crudo”. Né in fondo ci sembra che il modo migliore per riconoscere la genialità e originalità di Charles Darwin sia proprio quello di assimilarne la maggiore scoperta teorica con la descrizione di un dente fossile trovato in uno scavo.

Il livello 2 è costituito dalle teorie che interpretano questi dati ma che non hanno ancora raggiunto un consenso unanime fra gli scienziati e sono quindi ancora oggetto di critiche e di possibili revisioni (“ovvero le interpretazioni generali, scientificamente fondale ma ancora dibattute, dei dati sperimentali grezzi”, p. 4).
Questi due primi livelli rappresentano dunque il lavoro scientifico propriamente detto. Con i successivi tre fuoriusciamo invece dalla scienza ed entriamo nell’ambito della sua divulgazione e dell’acquisizione di significato per l’intera società. Così il terzo livello è quello “inerente il lancio della notizia, la sua diffusione e le interpretazioni extrascientifiche” cioè della divulgazione giornalistica e della prima generale interpretazione riassuntiva. Si deve prender atto come per Pievani già questo livello, privo di sufficiente competenza e completezza, sia in genere fatalmente destinato al travisamento; gli stessi scienziati, indotti dalla pressione mediatica ad uscire dalla rigorosa quadratura dell’esposizione specialistica, non di rado si lasciano andare a commenti discutibili e forzati: “Le esagerazioni, le semplificazioni e i potenziali travisamenti non sono sempre imputabili a giornalisti poco attenti o a osservatori malintenzionati. Nella corsa globale ai finanziamenti e alla visibilità, gli uffici stampa delle istituzioni scientifiche più competitive si stanno allontanando sempre più spesso dalla normale promozione dei risultati della ricerca e stanno sfiorando pericolosamente le tecniche del marketing e dell’imbonimento. Sparano titoloni a effetto, poi smentiti dai più prudenti esiti dei paper specialistici. Gli scienziati a volte assecondano questa tendenza, aggiungendo ai loro risultati commenti filosofici gratuiti, iperboli sensazionali e battute fuori luogo. Riviste come Nature hanno già stigmatizzato a più riprese il fenomeno, senza effetto.” (p. 5)
Dalla prima comunicazione per lo più infelice, si passa al livello 4 in cui la distorsione e la volgarizzazione divengono oramai consapevoli e sistematici: “Senza nemmeno i sensi di colpa per aver coniato slogan fuorvianti (avendoli trovati direttamente sul comunicato stampa o nell’intervista allo scienziato) le ricamature della stampa generalista ci catapultano nella terra di mezzo dell’immaginario pseudoscientifico. E’ il quarto livello della ricezione, il festival della fantasia dilettantesca, parole in libertà.” (ivi)
Infine il livello 5 è quello in cui, fuoriuscendo dall’immediata divulgazione giornalistica, si entra nel campo del possibile o presunto significato generale delle conquiste della scienza e del loro valore per costituire la nostra visione generale delle cose. E anche qui per Pievani la distorsione è inevitabile e sistematica: questo è il livello della “scienza in pasto agli adepti del grande disegno”, del “sogno a occhi aperti, del fantasy filosofico, cioè dei travisamenti intenzionali e truffaldini di chi specula sulle notizie scientifiche per assecondare un proprio convincimento ideologico, non importa se religioso o meno. Il web è diventato la nicchia ecologica perfetta per questi deliri autoreferenziali (...) Nell’era digitale qualche psico-patologo dovrebbe studiare lo strano istinto che porta alcuni individui a ostentare la propria abissale ignoranza su un dato argomento scientifico con sicumera e talvolta persino con sarcastico orgoglio.” (p. 8)
Non si può non notare che, a leggere queste righe di Pievani, pur certamente condizionate dall’intenzione polemica, un livello relativo alla buona divulgazione ed all’intelligente discussione filosofica della scienza pare non possa esserci: tutto si riduce di fatto alla netta discriminazione fra la roccaforte della scienza chiusa dietro i suoi merli puntuti e il deserto dei travisamenti e delle distorsioni tutt’attorno, dove essa viene “frullata nel dibattito pubblico”. Ma su questo più oltre.

Per esemplificare un caso tipico di “ricamo ideologico” del quinto tipo sull’orlo del telo inconsutile della scienza, Pievani si procura sulle prime un obbiettivo polemico facile e abbordabile, e con una certa ampiezza sottopone a critica alcuni scritti del paleoantropologo cattolico Mons. Fiorenzo Facchini (pp. 10ss). Questi, a proposito di alcune recenti scoperte (in particolare quella dell’Homo di Dmanisi nella Georgia caucasica), ha cercato ancora una volta di riproporre la tradizionale tesi cattolica secondo cui nella vicenda evolutiva del genere Homo non si riscontrerebbe un corso analogo a quello di qualsiasi altro gruppo animale, ma si rivela una sorta di peculiare “identità unitaria” che si preserverebbe personalisticamente attraverso le mille tormentate vicende del cammino dell’evoluzione, così come – aggiungiamo - la scintilla luminosa del pneuma gnostico andava errando inestinguibile e sempre riconoscibile pur nel fango dell’avvilimento terreno in cui era stata precipitata.
Qui in effetti la malriuscita commistione fra i due livelli – scientifico e religioso - è del tutto evidente e la distorsione dei fatti scientifici spesso sfiora il grottesco. Così Pievani ha vita facile e, alle prese con un cattolico vecchio stampo, il suo tono si fa irridente: “Ohibò, sono turbato. Non avrei mai pensato di poter addirittura “negare l’identità umana”. Sono un mostro e non me n’ero accorto. Io nego l’identità umana, ma tu guarda che birichino che sono.” (p. 13)

Sin qui il nome di Vito Mancuso non compare se non di sfuggita, ma in verità non si può dar torto a quest’ultimo se, con sua grande costernazione, deve infine dedurre di essere stato iscritto senz’altro anch’egli alla Caina del quinto livello, quello dei “travisamenti intenzionali e truffaldini”. Pievani infatti, pur non dilungandosi più di tanto ad esporre le tesi generali che Mancuso ha proposto in questi anni nei suoi numerosi saggi ed interventi, rinnova anche per lui, cui riconosce di buon grado maggior “sottigliezza retorica” e “fantasia terminologica”, la medesima accusa di fondo mossa a Facchini e ad ogni discorso religioso: la fallacia antropocentrica. Anche nel suo caso ci si trova dinanzi ad un visione del mondo che sin dall’inizio intende inverare certe scelte valoriali ed etiche tipicamente umane (o, vorremmo dire noi, di certa umanità occidentale postmoderna): l’universo non dev’esser concepito necessariamente come uno spazio ostile e brutale in cui conta soltanto la legge della “forza”. Esso invece va concepito come un contesto “bioamichevole” in cui ha senso anche il confronto non competitivo, improntato ai valori, tipicamente umanistici, di collaborazione, di integrazione, etc. etc. La stessa evoluzione è una sorta di progresso che procede sempre più verso questa meta. Il concetto chiave dev’esser dunque non “forza”, ma piuttosto “relazione”.
Con queste premesse - prosegue Pievani ricorrendo come chiave esegetica financo a Guerre Stellari - “deve pur sempre esserci un senso, e una risposta per tutto! Essendo l’universo una creazione continua, libera e inconclusa, mediata dalla natura (...) le forze del bene (quelle che aggregano, mettono in relazione, aumentano la complessità e l’armonia della natura) si scontrano con quelle antimoniche del male, del disordine e della disgregazione (il lato oscuro della forza). E’ una gran fatica questa lotta manichea, ma la meta è così luminosa che ne vale la pena. Pur in modo tortuoso e non lineare, pur fra mille sofferenze ancora, la giustizia alla fine trionferà. Ora, è chiaro che in questo modo esisterà sempre una teoria filosofica e teologica per giustificare qualsiasi evidenza scientifica e il suo contrario. L’importante è dare a intendere al lettore che i buoni vinceranno, che i mostri saranno sconfitti e la Morte Nera esploderà, che alla fine Luke Skywolker riporterà l’equilibrio nella forza, che il padre Anakin si pentirà in extremis di essere passato al lato oscuro e la sua anima sarà salva. E’ un lenitivo formidabile.” (p. 15)
Per dar credibilità a tali stravaganze, come s’è già accennato, Mancuso non esita a ricorrere ampiamente a temi e argomenti scientifici o parascientifici. E poiché l’autonomo travisamento della scienza da parte di un teologo farebbe oggettivamente poco notizia, l’espediente, per Pievani, è quello di “grufolare nel sottobosco dei pensieri della domenica degli scienziati” per trovare commendatizie e malleverie ai propri abbagli: “Uno dei migliori esempi di questa suadente letteratura ci è fornito dai libri ben scritti e di grande successo del teologo Vito Mancuso. In essi compare una schiera di scienziati prediletti le cui idee eccentriche ed eretiche (quindi simpatiche perché minacciate dal cattivo establishment scientifico dominante) offrirebbero una conferma della “cosmo-visione” finalistica e dell’evoluzione intesa come una grande marcia verso l’armonia spirituale e sapienziale. Non si sa quanto intelligente, ma di sicuro è un grande progetto, il solito, vecchio, confortante grande progetto.” (p. 10) D’altra parte “adottando la teoria dei cinque livelli di ricezione è del tutto plausibile che a volte sia lo stesso scienziato a offrire interpretazioni filosofiche improprie, infondate e incoerenti dei risultati sperimentali suoi o di altri colleghi. Che sia per passione sincera o per narcisismo, nel passaggio dal primo livello (dati sperimentali consolidati) al secondo (le interpretazioni scientifiche controverse), e dal secondo ai successivi (le generalizzazioni filosofiche, veicolate dai media e frullate nel dibattito pubblico), gli scienziati non sono immuni agli scivoloni.” (p. 9) E quindi “cercando bene, si troverà sempre un fisico o un chimico o un biologo in vena di sparate sulla “logica del tutto” e sulla “mente di Dio”.” (p. 17)

Pievani cita così i nomi di diversi scienziati molto presenti nelle opere di Mancuso - come Simon Conway Morris, Lynn Margulis, Stuart Kauffman, Fritjof Capra, Francis Collins, Christian de Duve, John Barrow, Paul Davies, Freeman Dyson, James Lovelock, Rupert Sheldrake - di cui offre un breve ritratto e a proposito dei quali distingue con nettezza fra l’opera propriamente e rigorosamente scientifica da un lato e dall’altro le loro ulteriori elucubrazioni personali che appartengono di fatto al livello ultimo, quello degli stravolgimenti. Non aver tenuto conto di questa distinzione ed aver presentato al grande pubblico le personali divagazioni extrascientifiche di questi autori come se fossero una conseguenza o parte stessa della loro opera propriamente scientifica, è da considerare, come Pievani ripete a ritornello, “un non sequitur, una fallacia logica, uno sfondone”.

Ora, per il lettore condividere o meno tali critiche è ovviamente questione soggettiva. Certo però chi si limitasse all’esame di questo dibattito, farebbe bene a non farsi condizionare dall’aplomb controllato, e non privo di efficacia, che Mancuso adotta in questa sede particolare. Trovandosi sul banco degli imputati, egli nella sua replica sta bene attento a non cadere nei lacci dell’accusa così da assecondarne la requisitoria. Tuttavia, per chi allunghi l’occhio su altri suoi scritti, può essere alquanto difficile concedere assoluzione e patente di filosofica oggettività a chi, per scegliere del tutto a caso, ha scritto frasi come le seguenti: “Io spero che questo libro possa servire all’avvento della signoria divina nelle anime degli uomini, l’unica cosa che deve interessare alla Chiesa, l'unico suo bene. È solo in questa prospettiva che mi permetto di sollevare obiezioni contro alcuni dogmi formulati nei secoli passati dalla Chiesa alla quale appartengo e alla quale sempre apparterrò, perché essa è la mia famiglia, le devo l’educazione alla vita spirituale mediante il lavoro di tanti sacerdoti, suore, semplici fedeli, senza i quali io non saprei nulla.” ( L’anima e il suo destino, p. 27). “Il mio obiettivo non è la vittoria personale. Contro chi poi? Contro la Chiesa, la madre e la maestra alla quale devo la fede? (...) Il mio obiettivo non è la vittoria personale, ma è la purificazione della mia anima, perché sia sempre più degna di ospitare l'Eterno.” (ivi, p. 30-1) O ancora: “Il principale obiettivo di questo libro consiste nell’argomentare a favore della bellezza, della giustizia e della sensatezza della vita, fino a ipotizzare che da essa stessa, senza bisogno di interventi dall’alto, sorga un futuro di vita personale oltre la morte.” (ivi, p.1). Etc. etc.
A partire da premesse intellettuali di tal natura - di per sé del tutto legittime -, quando in ambito filosofico e scientifico si riattacca con “una filosofia della natura dotata di significato, bioamichevole e orientata all’armonia relazionale”, si fa oggettivamente fatica a non sentire la soma del medesimo pesante antropomorfismo religioso. Mancuso cerca di difendersene: “Si descrive il mio pensiero come una prospettiva consolatoria secondo cui “la giustizia alla fine trionferà”, essendo il mio critico convinto che per me “l’importante è dare a intendere al lettore che i buoni vinceranno”, visto che questo “è un lenitivo formidabile”. Questa presentazione del mio pensiero però, ancora una volta, è falsa, e per dimostrarlo è sufficiente un brano del mio ultimo libro: “Il Dio che governa il mondo secondo democrazia lascia aperta la storia della sua alleanza con gli uomini, la quale potrebbe anche fallire, e la meta, invece del regno di Dio in quanto regno della libertà che vuole solo il bene e la giustizia, potrebbe essere un immenso centro commerciale, dove tutto è in vendita e ognuno ha il suo prezzo”.” (p. 35)
La difesa, come ognuno vede, è assai fiacca: a parte l’inconsistenza e l’accidentalità dell’autocitazione “dall’ultimo libro”, la debolezza di un pensiero religiosamente orientato e condizionato non è il suo eventuale ottimismo a programma; vi sono stati innumerevoli casi di visioni religiose connotate da toni cupi e disperati. Il problema è che quando nel proprio discorso si introducono idee come “il Dio che governa il mondo” (o che magari lo sgoverni) e la sua “alleanza democratica con gli uomini” (ma fosse anche pure il suo odio per l’umanità), già lo si è irrimediabilmente pregiudicato antropomorficamente, quali che siano le conclusioni ottimiste o pessimiste che se ne intendono trarre.

Proprio per questo, non si starà qui a discutere altri punti particolari su cui i due interlocutori si affrontano e in particolare una questione su cui ritornano con insistenza in tutti e tre gli interventi e cioè la correttezza dell’interpretazione da parte di Mancuso di un passo del saggio “Reinventing the Sacred““ del biologo Stuart Kauffman relativo al possibile carattere quantistico dell’energia che presiede alla coscienza umana (cap. XIII). Com’è noto l’introduzione dei concetti propri della fisica quantistica nell’ambito delle neuroscienze è stato visto da alcuni - a partire dal fisico Roger Penrose alla fine degli anni ’80 - come una possibile strada per dare ragione della ‘libertà’ del pensiero umano, che in tal modo potrebbe affrancarsi dal determinismo rigido della fisica classica. Si tratta di un’ipotesi che, a quanto sostiene la maggior parte dei fisici, se anche fosse fondata, non ha al momento il benché minimo supporto da parte di risultanze sperimentali concrete; anzi esse in genere rilevano che la rete neuronale del cervello sembra poter funzionare ottimamente in base alle normali leggi che regolano i fenomeni elettrici della nostra esperienza ordinaria. Nello stesso Kauffman tale ipotesi è avanzata in modo prudente e, come Pievani stesso rileva, piuttosto “confuso”.
I due interlocutori tuttavia si impuntano e invitano ripetutamente i lettori a giudicare del torto o della ragione dell’uno o dell’altro. Per parte nostra, non essendo minimamente in grado, ci limitiamo semplicemente a riportare un’aurea frase di Pievani (su cui tutti si dovrebbe umilmente riflettere): “La scienza è un’impresa aperta e ha le sue regole. Infilarsi in questi dibattiti senza l’equipaggiamento necessario potrebbe non essere una buona idea.” (4-5)
Ecco: qui il lettore ordinario è chiamato a giudicare sulla critica che un filosofo della biologia –Pievani– muove ad un teologo –Mancuso- sulla natura quantistica del pensiero basata sulle controverse e “confuse” ipotesi di un biologo teorico –Kauffman- che sono in genere viste con diffidenza, se non con impazienza, da fisici specialisti. Ci si può chiedere in verità come potrebbe mai un lettore ordinario pronunciare una sentenza sua propria; anzi veramente ci si dovrebbe chiedere quale idea se ne siano fatta i due interlocutori e quanta competenza specifica abbiano a loro volta nel campo della fisica quantistica non dico solo per giudicare della questione, ma anche solo per leggere i testi specialistici comprendendone qualcosa dopo i Ringraziamenti.
In realtà qui come altrove - ed il tono patetico e risentito del dibattito lo dimostra - i lettori non sono chiamati propriamente a giudicare, ma piuttosto semplicemente a schierarsi emotivamente in base a propensioni intellettuali o ideologiche o anche soltanto alla simpatia che suscita l’una o l’altra immagine pubblica, non a caso così amorevolmente curata da entrambi.
Va detto però che la difesa di Mancuso, pur facendo la tara a tutta la parte imbronciata e personalistica, non è del tutto priva di efficacia, e non perché egli riesca realmente a respingere le accuse mossegli, ma piuttosto in quanto è tutt’altro che privo di argomenti per ritorcerle contro lo stesso Pievani. Anche quest’ultimo infatti, nella sua battaglia culturale a favore della scienza, è stato a sua volta tutt’altro che alieno dall’abbassare di frequente il ponte levatoio sia sul primo che sul secondo livello e dal fare qualche braveria nella vasta pianura delle divagazioni e dei “non sequitur”.

(…sequitur)


- Dibattito Pievani-Mancuso. www.scribd.com/doc/212828511/Telmo-...enza-e-Teologia

- Micromega. Almanacco della scienza 1/2012. Homo sapiens. L'avventura della 'scimmia nuda'.
http://libgen.org/search.php?req=Homo+sapi...le&column=title

- KAUFFMAN, Stuart, Reinventing the Sacred.
http://libgen.org/search.php?req=reinventi...le&column=title

- MANCUSO, Vito, L'anima e il suo destino.
www.scribd.com/doc/82115182/Vito-Ma...-il-suo-destino





2. “Relax and enjoy”.



“In teoria non c’è differenza fra teoria e pratica. In pratica sì.”
Yoghi Berra.


Lo spirito con cui Pievani ha concepito l’attacco a Mancuso e agli altri teologi “eretici e non”, a questo punto appare chiaro: piena libertà di opinione per ognuno, ma la scienza è persona troppo seria per andare in giro da sola fuori dai suoi livelli senza farsi accompagnare da qualcuno di provata competenza. Per discutere di certi argomenti infatti bisogna averli approfonditi in maniera adeguata e quindi, come Pievani ineccepibilmente sottolinea: “quando un filosofo vuole parlare di scienza deve conoscerla bene, il che significa che deve concentrarsi su una disciplina (ed è già tanto) e imparare (dopo svariati lustri di lavoro) a conoscere in dettaglio la letteratura specialistica primaria di riferimento che viene pubblicata ogni settimana sulle maggiori riviste internazionali.” (p. 42)
Detto in altre parole, “un filosofo che vuole parlare di scienza” non può essere altri che uno scienziato che vuole parlare di filosofia e che in quanto tale, salvo deprecabili eccezioni, sa come mantenersi sul piano dell'oggettività rigorosa, concedendosi magari un linguaggio più accessibile o un po' più di retorica giusto per una più efficace divulgazione.
Pievani non è propriamente un “wet biologist”, cioè un biologo di laboratorio impegnato a isolare e descrivere dati di “primo livello” né in campo biomolecolare, né in quello tassonomico o paleontologico, ma ha certamente un curriculum di studi di tutto rispetto, conosce personalmente alcuni dei più illustri biologi del nostro tempo, è un professore di filosofia della biologia con una già rispettabile bibliografia e certamente sarà abbonato a tutte le maggiori riviste internazionali del suo settore. Dunque non a torto si considera egli stesso come un uomo di scienza, e col tono spesso spazientito che si intuisce fra le sue righe, sembra mostrare ai lettori questo incolmabile divario di competenza rispetto ad un profano come Mancuso, il quale alla fin fine non fa altro che “entrare in libreria, scegliersi i libri divulgativi di qualche scienziato in fase spiritualista (fisici, biologi, chimici, non importa, dalla meccanica quantistica alle neuroscienze, se ne trovano sempre), estrapolare qualche citazione a effetto e inserirla nel proprio discorso.” (p. 42)

E se il “ne ultra crepidam” vale per un intellettuale comunque riconosciuto come Mancuso, e per gran parte della pubblicistica professionale, tanto più deve applicarsi a certi contenuti della rete a cui vien dato spazio a poco prezzo ma che sono sottoprodotti di individui privi di qualunque qualifica a prender la parola in materia scientifica e filosofica: “Il web è diventato la nicchia ecologica perfetta per questi deliri autoreferenziali e per le idiozie sull’infalsificabilità della teoria dell’evoluzione, sulle lacune dei fossili, sulle specie che nessuno avrebbe mai visto evolversi, e via con lo sciocchezzaio completo. Nell’era digitale qualche psico-patologo dovrebbe studiare lo strano istinto che porta alcuni individui a ostentare la propria abissale ignoranza su un dato argomento scientifico con sicumera e talvolta persino con sarcastico orgoglio.” (p. 8)
Sono convincimenti già manifestati da altri illustri intellettuali. Umberto Eco, per esempio, più volte s'è detto convinto che la rete non di ulteriori contenuti avrebbe urgenza, quanto di un'energica opera di selezione e potatura (1). Certamente è stato il progresso delle tecnologie a riacutizzare il problema, ma in questi nostri intellettuali par davvero di riascoltare la saggezza antica dei Platoni o degli Isocrati, e chissà di quant'altri ancora, quando chiedevano che la libertà di parola - la parresìa - non fosse concessa anche agli “athuroglòssoi”, alle lingue senza porta, se non si voleva vedere anche l'ecclesia democratica di quel tempo lontano, ridotta ad uno “sciocchezzaio completo”.

Ora, data per scontata la giustezza di questi buoni convincimenti, si può anche ipotizzare che in questo proliferare di discussioni sul web, accanto alla vanità d’ostentare abissali ignoranze, vi possa essere a volte anche il tentativo di organizzare una lettura non passiva, una qualche ricezione critica, che è poi l’unico modo possibile affinché l’autentica qualità delle fonti, che sta così a cuore a Pievani, venga riconosciuta e premiata. Si fa infatti fatica ad immaginare un qualche reale apprezzamento della scienza moderna e del significato dei suoi risultati, quando la si riceva con soggezione passiva in nome di un principio d'autorità basato su titoli accademici o sulla semplice efficacia mediatica e la si memorizzi come un coro di monaci medievali faceva con le formule del salterio sotto la guida dell’abate.
Quando Socrate, per rimanere ancora per un attimo nell'antica Atene, vuol dimostrare che la conoscenza è potenzialmente patrimonio di ogni uomo, certamente si guarda bene dal dare la parola ad uno degli schiavetti ignoranti di Menone perché dia sfogo a “deliri autoreferenziali”. Egli lo indirizza, lo corregge, lo guida nel ragionamento con mano ferma e quasi a forza. E tuttavia tutta l'enfasi del dialogo vien posta sull'attitudine attiva con un profano ignorante è stato in condizione di seguire il discorso del sapiente, trovando alla fine egli stesso la soluzione del problema e cogliendone appieno la necessità.

Vero è che quello di fronte al quale è posto lo schiavo del dialogo platonico è un banale problemino di geometria, con una soluzione logicamente obbligata e che poteva essere visualizzato intuitivamente attraverso un disegno tracciato sulla sabbia. Era dunque in fondo ciò che accade ancora sulla lavagna di ogni aula scolastica o universitaria nella lezione di matematica o di scienze. In casi simili la distinzione fra maestro e allievo può restare chiara, indiscutibile e legittima, in quanto la semplicità, più o meno relativa, e la forza logica non solo sono alla portata del discente ma - che è cosa altrettanto importante - non mettono in difficoltà, si spera, nemmeno il docente.
Dunque sino a che si sia in grado da una parte e dall’altra di condividere un linguaggio logicamente rigoroso, l'apprendimento di tipo attivo e partecipativo rimane possibile, eliminando sia il fastidio del “parresiasta” che nasconde la propria insipienza nel verbalismo privo di disciplina, sia quello di un'autorevolezza omaggiata passivamente. Anzi, l'oggettività del criterio è talmente stringente che a volte nella storia della scienza le parti fra chi poteva insegnare e chi doveva apprendere si sono invertite, rovesciando scandalosamente le gerarchie. Che un ignoto impiegato dell'Ufficio Brevetti di Zurigo potesse sovvertire con un paio di articoletti l'intero edificio della fisica classica insegnata allora in tutte le università del mondo da migliaia di illustrati cattedratici, era cosa che violava ogni buona regola dell'etichetta, del rispetto e del principio d'autorità. Ma calcoli e formule erano lì, e non ci fu nulla da fare per nascondere il fatto. Lo stesso Peter Higgs, nome oggi tanto celebrato, ha ricordato il proprio debutto come “outsider” e come in principio sia riuscito a farsi ascoltare solo con molta difficoltà, dopo il rifiuto, almeno in Inghilterra, di diversi suoi articoli (2). Ma alla fine il combinato disposto di coerenza logica della teoria e di corrispondenza a risultati sperimentali rigorosamente quantificati, decreta “chi debba insegnare cosa a chi”. “Molti si stupiscono – ha scritto Richard Feynman - che nel mondo scientifico si dia così poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e se sembra qualcosa che valga la pena di verificare (...) allora sì che ci si comincia a divertire. Che importa quanto ha studiato quel tale, o perché ha voluto essere ascoltato.” (3)

Purtroppo però i vantaggi della formalizzazione matematica hanno un limite in quello stesso rigore che ne costituisce la forza e dunque, quanto più si scende in profondità sui grandi temi della scienza della natura, tanto meno ne diviene possibile la reale condivisione, se non ad una minoranza via via più ristretta. Alle scale di grandezza più remote dalla nostra esperienza, nel piccolo come nel grande, il linguaggio matematico infatti non è più solo il mezzo attraverso cui si esprime in modo più preciso un contenuto attingibile anche per altre vie - così come il linguaggio poetico per il volto femminile che abbiamo o abbiamo avuto dinanzi agli occhi o il linguaggio pittorico per un paesaggio ameno – e come poteva valere ancora, per esempio, per il modello newtoniano del sistema solare o per le prime teorizzazioni sul modello atomico della materia. Tutte le più recenti teorie fisiche o cosmologiche si basano su concetti che nascono e si sostanziano solo ed esclusivamente all’interno del discorso matematico. Come ha scritto icasticamente Leon Ledermann: “se chiedete a un fisico teorico “Perché proprio otto?”, vi risponderà saggiamente: “Perché è uguale a nove meno uno”.” (4) Altro di più intuitivo ma parimenti preciso non saprà dirvi. Se quindi non si fa uso del linguaggio matematico spesso non è che si intuisce “meno chiaramente”, ma semplicemente si è ciechi del tutto, e ciò che si crede di intravvedere sono spesso null’altro che i fantasmi della propria fantasia.

Né conta quindi che a provvedere ad una qualche divulgazione della materia, siano scienziati fra i più autorevoli – e tanti vi si sono cimentati. Possono ovviamente tentare di dare un’idea generale della materia, ma alla fine essi stessi devono invitare i lettori, tutti i lettori che non condividono il linguaggio matematico, ad assumere un atteggiamento prudente, piuttosto di rilassato divertimento e curiosità, che di arrogante pretesa di giudicare. Così Richard Feynman, un fisico che padroneggiava come pochi lo strumento matematico, commentava, con parole tante volte citate, in una sua conferenza: “Penso di poter tranquillamente affermare che nessuno comprende la meccanica quantistica. Quindi non prendete troppo sul serio questa mia lezione, pensando di dover realmente inquadrare nei termini di un qualche modello quello che sto per descrivere. Semplicemente rilassatevi e divertitevi (relax and enjoy). Sto per dirvi come la natura sembra comportarsi. Se vi limiterete semplicemente ad ammettere che forse si comporta così, troverete la cosa deliziosa ed incantevole. Ma non continuate a ripetervi, se vi è possibile evitarlo, 'Come può essere?' perché fareste un buco nell'acqua ed entrereste in un vicolo cieco dal quale nessuno è ancora scappato. Nessuno sa come possa essere così.”(5) “Abbiamo ballato il tip tap – scrive per parte sua Lederman - intorno a questa idea di simmetria di gauge perché spiegarla in modo completo è difficile, e forse impossibile. Il problema è che questo libro è scritto in inglese, mentre il linguaggio della teoria di gauge è matematico. In inglese dobbiamo affidarci alle metafore, cioè di nuovo a dei passi di tip tap, anche se forse serviranno.” (6) E un autorevole "profano” come Richard Dawkins, che certo non avrà lesinato sforzi per capirci qualcosa nonostante la sua notoria allergia ai calcoli, ha chiosato per parte sua: “I fisici più “duri” se ne fregano. Quello che conta è che la matematica funzioni e le predizioni trovino conferma a livello sperimentale. Noi comuni mortali siamo troppo imbranati per seguirli: abbiamo bisogno di visualizzare in qualche modo quello che succede “realmente”. (...) Farsi una risata è senza dubbio la migliore reazione ad alcuni degli strani paradossi della fisica moderna. L'alternativa, mi capita di pensare, sarebbe di mettersi a piangere.” (7)

Questa difficoltà estrema è dunque problema ben più drammatico di quel che si pensi, in quanto taglia fuori da una conoscenza realmente approfondita della scienza della materia non solo il comune pubblico, i parresiasti del web o i teologi – che pare cosa scontata -, ma anche una rilevantissima parte dello stesso mondo scientifico - come i biologi o i semiologi per esempio, – cosa su cui non sempre si riflette abbastanza. Non riguarda cioè solo la divulgazione, ma anche la circolazione delle idee all’interno della stessa scienza. E’ cosa cui s’è già accennato a proposito della pretesa di certi neuroscienziati di utilizzare la fisica quantistica nei propri discorsi, ma è tanto seria che di fatto finisce per non risparmiare - al loro livello ovviamente - neanche gli stessi specialisti. Per rendersi appieno conto di cosa questo significhi, si consideri che perfino un fisico come Higgs, allontanatosi negli anni ‘70 dagli studi per un periodo di difficoltà personali e familiari, ha poi dovuto ammettere di non aver più recuperato il passo e di esser rimasto tagliato fuori da tutta la ricerca successiva: “c’era già un tale background di nuova matematica coinvolta nella supersimmetria, che non avrei potuto assorbirlo tanto rapidamente (...). Così alla fine lasciai perdere, all’inizio degli anni ’80. (...) Se mi fossi accontentato di lavorare su cose più semplici avrei potuto produrre ancora, ma avendo ottenuto un successo pretendevo di dedicarmi agli sviluppi più promettenti, come la supersimmetria, la supergravità e così via; ma non ero più in grado di apprendere tanto rapidamente.” (8) Anche un altro Nobel come Lederman definisce la matematica delle superstringhe elegante, ma “complessa in modo deprimente” (9). E, in un’altra recente intervista di Higgs, si può notare una malcelata sfumatura di sufficienza a proposito della reale competenza di una celebrità come Stephen Hawking a comprendere la matematica delle sue teorie: “è molto famoso, ma non è un fisico delle particelle, e io non ho mai creduto ai suoi calcoli.” (10)

Insomma, se la capacità di aggiornare la propria competenza matematica per seguire le ricerche più avanzate, è sempre a rischio anche per specialisti del più alto livello, ci permettiamo di far spazio senz’altro anche a Pievani e Mancuso, fra i malmessi accampamenti nella pianura di là dal fossato, da cui si guardano i bagliori remoti nella cittadella della fisica e della cosmologia. Certo, il modo in cui un Higgs o un Hawking possono essere definiti “estranei” a certi sviluppi più recenti della fisica, sarà del tutto diverso da quello in cui lo è un biologo come Pievani; e forse si può immaginare che a sua volta quest'ultimo ne avrà risaputo qualcosa in più rispetto ad un teologo come Mancuso …per non parlare di qualsiasi quidam de plebe. Tuttavia resta il fatto che evidentemente l’indispensabile ponte levatoio che deve unire la scienza a tutta la restante società, è assai più trafficato di quel che sembrerebbe dalla semplice livellistica di Pievani, e su di esso, tra chi entra e chi esce, si possono fare gli incontri davvero più sorprendenti, se a volte addirittura gli stessi alti ufficiali della cittadella sono accompagnati fuori dal semplice passare degli anni, come il povero Drogo dalla Fortezza Bastiani.

In realtà - gli va riconosciuto - Pievani limita in generale le sue incursioni in campi extrabiologici solo ad una funzione difensiva e di contenimento. Ben conscio che chi vuole parlare con una qualche autorevolezza di scienza “deve concentrarsi su una disciplina (ed è già tanto)” (p. 42), nelle sue opere di biologia si astiene dal tirare in ballo direttamente anche fisica e cosmologia, anzi fa spesso saggia professione di modestia. E tuttavia proprio per questo si comprende poco da dove poi gli derivi, anche in questa sede più polemica, quel suo infallibile criterio per stabilire all'interno dell'opera di autorevoli fisici e cosmologi, cosa sia da ricevere con rispetto e cosa invece da respingere. Certo, forse si può dare per generalmente acquisito che, per esempio, le speculazioni di un valente fisico come Freeman Dyson a proposito delle facoltà paranormali di una sua nonna guaritrice, possano venir rubricate fra le scempiaggini. Tuttavia in molti altri casi si comprende assai meno la sicumera con cui, per ognuno degli scienziati utilizzati dal suo interlocutore, Pievani pretende, con un breve ritrattino di poche righe, di fissare cosa nella loro opera sia valido e cosa appartenga invece all’ambito delle “sparate” e degli “sfondoni”.
Vero è che in questo Pievani non manca citare a sostegno illustri specialisti (si veda in questo dibattito il suo riferimento al noto fisico italiano Carlo Rovelli, p. 22), ma non si avvede che, sino a che non si metta in condizione di prendere la parola in prima persona e di argomentare per minuto le sue sentenze, non fa che usare lo stesso criterio di coloro che critica (si veda in questo medesimo dibattito il riferimento di Mancuso al noto fisico italiano Claudio Verzegnassi, p. 36), cioè ripetere opinioni altrui delle cui ragioni intime non è in grado di avere salda nozione. Per questo motivo, alcune obbiezioni di Mancuso sono tutt’altro che prive di forza: “a proposito di questi scienziati Pievani stabilisce che in quanto scienziati essi non possono essere citati a sostegno di una filosofia secondo cui la vita e l’intelligenza (...) emergono da un universo che mostra strutturale idoneità (fitness) alla loro comparsa. Perché non lo possono? Se non ci si basa sui dati offerti dagli scienziati, su quale base bisognerebbe costruire una filosofia della natura? E lui, Pievani, non fa proprio così nelle sue opere appoggiandosi ai suoi scienziati di riferimento? (...) Pievani ripete per sette volte che tra i lavori scientifici degli scienziati a cui mi riferisco e la filosofia della natura presente nelle loro opere non c’è alcun nesso e che volerlo stabilire comporta una fallacia logica. Non si rende conto però che ciò che per lui non sequitur, per questi scienziati, invece, sequitur. È evidente infatti che la loro filosofia della natura ha strettamente a che fare con le loro ricerche scientifiche.” (pp. 29-30)

Questo tipo di argomenti presentati qui e altrove da Mancuso, appaiono realmente l’unica ridotta dalla quale egli può ribattere validamente le critiche dei “laicisti” (si veda anche il suo dibattito con Paolo Flores d’Arcais su MicroMega 3/2012): su queste grandi questioni scientifiche il dibattito fra gli specialisti è ancora aperto e nessuno dall’esterno è in grado di stilare pagelle. Senonché egli stesso, invece di trarne motivo per un dovuto invito alla prudenza e alla modestia per gli altri e per sé medesimo, ne ricava piuttosto una sollecitazione opposta: che cioè dispareri e dibattiti fra gli specialisti diano diritto a tutti a sfogare l’“athuroglossìa” più disinibita, e di sentirsi a buon mercato attivamente compartecipi dello sviluppo “filosofico” delle teorie fisiche e cosmologiche più complesse e profonde. La rapida fama mediatica del bosone di Higgs, per esempio, deve averlo assai colpito e quindi in questa occasione (ma dal 2012 lo fa quasi sistematicamente) Mancuso afferma senza troppe timidezze: “Che l’armonia relazionale non sia per nulla “fantomatica” lo mostra anche la più grande scoperta scientifica dei nostri giorni, la rilevazione del bosone di Higgs ufficializzata dal Cern di Ginevra il 4 luglio 2012 e ipotizzata da Peter Higgs nel 1964, ancora una volta per un’esigenza di armonia. Da essa si evince che ogni particella è dotata di massa non per sé stessa ma grazie alla relazione con il campo di Higgs, per cui occorre ritenere, cogliendo il significato filosofico del dato, che la prima delle categorie con cui pensare la realtà non è più la sostanza (come si ritiene classicamente a partire da Aristotele) ma è la relazione, e ovviamente una relazione tanto più è produttiva quanto più genera armonia.” (p. 37)
Ci par di capire che Mancuso si ritenga abilitato a “evincere il significato filosofico” del bosone di Higgs e ad utilizzarlo come una dimostrazione delle proprie speculazioni sull’”armonia relazionale”- così come subito di seguito a trasvolare ardimentoso fra pianeti, galassie, universi e big bangs - essendo venuto a risapere che tale particella avrebbe un ruolo centrale nel determinare la massa, e quindi a render possibile quell’attrazione gravitazionale che è così efficace nel convincere tutto ciò che esiste ad entrare in amichevole relazione e stringersi in un'irresistibile abbraccio - il già mitico “entanglement”. E' alla fin fine probabilmente null'altro, verrebbe da capire, che la bosonizzazione grossolanamente verbalistica della retorica dell'“Altro” che permea, oltre all'universo tutto, anche tanti capitoli e capitoletti del buonismo contemporaneo, da Levinas ad Habermas, da Fromm a Derrida, da Margulis a Lovelock, Sahtouris, Sober, De Waals - per non citarne infiniti altri ancora - iscrivendosi così nel novero di quegli entusiasti dell’embrassons-nous universale che, come ha scritto Lederman, “sono disposti a concludere come in un raptus che siamo tutti quanti parte del cosmo e il cosmo è parte di noi. Noi siamo dunque un Tutto! (e va a capire perché quei tizi dell’American Express continuano a fatturarci separatamente).” (11)
Se però il problema è quello di mettere insieme qualche chiacchiera general-generica sul concetto di 'relazione', basata su di un banalissimo tout s’embrasse, si potrebbe allora, giusto a titolo di curiosità, trovare anche assonanze più singolari ancora: “Contrariamente alla metafisica, la dialettica considera la natura, non come un ammasso casuale di oggetti, di fenomeni, staccati gli uni dagli altri, isolati e indipendenti gli uni dagli altri, ma come un tutto coerente unico, nel quale gli oggetti, i fenomeni sono organicamente collegati tra di loro, dipendono l'uno dall'altro e si condizionano reciprocamente. Perciò il metodo dialettico ritiene che nessun fenomeno della natura può essere capito se preso a sé, isolatamente, senza legami coi fenomeni che lo circondano, poiché qualsiasi fenomeno, in qualsiasi campo della natura, può diventare un assurdo se lo si considera al di fuori delle condizioni che lo circondano, distaccato da esse; e, al contrario, qualsiasi fenomeno può essere compreso e spiegato, se lo si considera nei suoi legami inscindibili coi fenomeni che lo circondano, condizionato dai fenomeni che lo circondano.” (12)
Ecco, questo passo di Materialismo dialettico e materialismo storico può ben testimoniare come perfino Josif Stalin avesse in qualche modo antiveduto l’entanglement, oltre alla centralità della mancusiana omniamicizia universale. Il tutto – cosa ancor più sbalorditiva - proprio nel 1937-8, quando la storia ricorda passasse di belle ore a spuntare nomi sugli interminabili elenchi di candidati al plotone d'esecuzione mandatigli da Vyšinskij.

La realtà è che sul grado davvero terminale di vacuo verbalismo delle considerazioni di Mancuso non c’è molto di altrimenti serio da dire. Di fatto la pretesa che vecchi termini filosofici qualitativi di una vaghezza e di una genericità ormai irricevibili, come “sostanza”, “relazione” o “armonia”, e che appaiono già raffermi e logori nel discorso teologico-filosofico, possano cogliere e trattenere in sé alcunché di attinente con le ipercomplesse strutture matematiche che sorreggono e danno significato alle teorie di Higgs, come ad altre grandi idee della fisica e della cosmologia contemporanee – della cui formulazione originale nulla si può dire perché nulla si può comprendere -, giustifica realmente le dure parole di Pievani già riportate e la sua rivendicazione finale: “Prendere il concetto di “relazione” e buttarci dentro di tutto, da Keplero all’entanglement al bosone di Higgs, è quanto di più lontano possa esistere dal mio modo di concepire la filosofia.” (p. 42)
Né certo meno che mai si potrebbe sostenere a giustificazione di siffatto modo di procedere, che anche una comprensione approssimata e sommaria possa comunque esser sufficiente per una discussione “solo” filosofica, essendo evidente piuttosto il contrario e che cioè per cogliere ciò che Mancuso chiama il “significato filosofico”, cioè il senso complessivo e profondo di una teoria scientifica, se ne debbano avere la conoscenza e la penetrazione più piene ed analitiche, ammesso pure che bastino.

D'altra parte, è chiaro che questa attitudine di Mancuso di piluccare ora questa ora quella suggestione dai maggiori risultati scientifici dei tempi nostri, senza poter procedere mai ad un vero approfondimento, ma sempre in base a generiche assonanze e risonanze di parole - la critica mossa ripetutamente da Pievani - è un po' una strada obbligata, un lavoro ingrato che la religione cristiana, almeno nei paesi più sviluppati, non può esimersi dal fare con queste modalità. Contrapporsi alla scienza e rivendicare a brutto muso la superiorità del proprio discorso, non si può più, ora che non si dispone del braccio secolare e l'opinione pubblica non è ancora del tutto rieducata alla spontanea sottomissione mentale, o al semplice disinteresse, che vantano altre culture (la cui inoculazione massiccia in Occidente non a caso viene tanto caldeggiata e fomentata dalla Chiesa e da altre forze del progresso). Tentare la via d'una integrazione più spinta neppure è concepibile, perché mostrerebbe impietosamente la disparità di forze e ridurrebbe la teologia al ruolo di silente ascoltatore. Così l'unica soluzione è quella di tenersi a debita distanza, riservandosi in esclusiva delle “domande” su cui la scienza venga a priori e per definizione dichiarata incompetente, rimanendo tuttavia nei pressi –“in ascolto” come si suol dire -, per potere all'occasione spizzicare tutto ciò che può far gioco, come anche il cardinale Martini, mentore di Mancuso, aveva a suo tempo insegnato: “E' importante che il mistero di Dio non venga sottomesso a verifiche umane e appaia all'uomo quale manifestazione fatta alla sua coscienza e intelligenza, a prescindere da argomenti scientifici, semmai contro di essi. Il mistero di Dio si svelerà, dunque, all'uomo non in dipendenza di controlli sperimentali o come ipotesi sostitutiva di anelli empirici mancanti, bensì a partire da domande prime cui la scienza non potrà rispondere”. (...) “Scienza e fede non sono un unico binario su cui corre la vita dell'uomo, e neppure strade divergenti o in collisione. Le vedo piuttosto quali binari paralleli, tenuti in connessione dalla filosofia e dalla teologia, che come traversine permettono ai binari di rimanere affiancati, così che possa correre il grande treno della vita.” (13)
Così la scienza è da tenere a distanza o da coinvolgere, a seconda che sembri smentire o avvalorare le tesi che si hanno a cuore. E' un meccanismo, questo della traversina mobile ad hoc, la cui logica è stata ben esemplificata da Richard Dawkins in The God Delusion: “immaginiamo che, per una straordinaria serie di circostanze, gli archeologi forensi scoprano la prova genetica che Gesù non aveva un padre biologico. Qualcuno può credere forse che gli apologeti della religione scrollerebbero le spalle e direbbero: “E che importa? Le prove scientifiche sono del tutto irrilevanti nelle questioni teologiche. E’ un altro magistero. Noi ci occupiamo solo delle questioni fondamentali e dei valori morali. Né il Dna né altre prove scientifiche influiranno mai, nell’uno o nell’altro senso, sul problema di Dio”? Una tale idea fa solo ridere. Si può stare certi che subito si appiglierebbero alle prove scientifiche emerse per strombazzarle fino al cielo. Il principio dei due magisteri indipendenti è utile loro solo perché le prove a favore dell’ipotesi di Dio non ci sono. Nel momento in cui vi fosse un piccolo indizio a loro vantaggio, gli apologeti getterebbero subito tale principio fuori dalla finestra.”(14).

A questo punto dunque a noi del pubblico non resta altro che testimoniare umana solidarietà per la difficoltà dell'impresa in cui si cimenta Mancuso. D’altra parte a chi, come lui, ha annunciato - dopo duemila anni di cristianesimo e innumerabili tomi di disquisizioni teologiche – d'essersi risoluto di conservare a Gesù Cristo il titolo di “Salvatore”, revocandogli tuttavia quello di “Redentore” che, dopo proprio attento vaglio critico, non lo convince più per nulla (15) - non mancherà certo la fiducia e l'autostima per superare anche questo e maggiori ostacoli teorici ancora. Lo lasciamo quindi al suo arduo lavoro, senza importunare oltre.

Intanto ciò che abbiamo acquisito è che con una simile pratica di attingere strumentalmente al discorso scientifico per assecondare propensioni ideologiche soggettive, Pievani nulla vuole avere a che fare: “è quanto di più lontano possa esistere dal mio modo di concepire la filosofia.”
Ma è davvero così?

(sequitur)

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1. Cfr. per esempio. http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-...azioni-1.45799; www.youtube.com/watch? v= iQBIG5dk5Zs
2. cfr. www.asimmetrie.it/index.php/un-te-con-peter-higgs
3. Il senso delle cose, 31-2. http://libgen.org/get.php?md5=81cd258d7d9f...1ed156f78353cea
4. The God Particle, 336. http://libgen.org/get.php?md5=84620FA9DAFB...C1CC890E4B44FC0
5. The Character of Physical Law, 129. http://bookzz.org/md5/87bba46cd9ebf43cd3844d8444c8306f
6. 349, cit.
7. The god delusion, 364, 366. http://bookzz.org/md5/0E006F30618D46F791A2EFED23F5D5B9
8. cit. . cfr. www.asimmetrie.it/index.php/un-te-con-peter-higgs
9. “elegant mathematics, dauntingly complex”. The God Particle cit., 392.
10. www.lastampa.it/2012/07/05/scienza/...lFN/pagina.html
11. The God Particle, cit. 190.
12. www.marxists.org/italiano/reference/stalin/diamat.html
13. Orizzonti e limiti della scienza, 84, 86. (www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...2,d.bGE&cad=rja
14. The God Delusion, p. 59 http://bookzz.org/md5/0E006F30618D46F791A2EFED23F5D5B9
15. cfr. Video 56’52”e ss.

Edited by Institor - 5/6/2015, 02:53
 
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view post Posted on 10/6/2014, 09:26

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Ti ringrazio per la segnalazione e per il contributo. Pur seguendo le tue indicazioni, non riesco a rintracciare il testo su libgen

http://gen.lib.rus.ec/search.php?req=fb2ca...mple&column=md5

Se potessi postare direttamente il link te ne sarei grato.
un saluto
emilio-millepiani
 
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view post Posted on 10/6/2014, 15:40
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CITAZIONE (emiliomillepiani @ 10/6/2014, 10:26) 
non riesco a rintracciare il testo su libgen

http://gen.lib.rus.ec/search.php?req=fb2ca...mple&column=md5

Se potessi postare direttamente il link te ne sarei grato.
un saluto
emilio-millepiani

Non so che dirti. A me con un browser lo trova e con un altro no... Va a capire. Ho messo i codici MD5 perché gli url sono perlopiù chilometrici. Comunque ho messo i link in nota.
 
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eduardo58
view post Posted on 12/6/2014, 14:33




Nel ringraziare Institor per il suo intervento, preciso e stimolante, vorrei segnalare che per il passaggio dalla fase 2 a quelle successive, di cui parla Pievani, ritengo ancora sostanzialmente valida l'analisi di Louis Althusser contenuta ne La filosofia e la filosofia spontanea degli scienziati.
 
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view post Posted on 12/6/2014, 15:29
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In effetti anche solo in relazione ad un testo abbastanza circoscritto come questa polemica tra Pievani e Mancuso, ci si trova comunque alle prese con una possibile bibliografia sempre troppo vasta per essere controllata con un minimo di serietà in tempi ragionevoli. E infatti il mio intervento invece di essere innanzitutto bibliografico, finisce per citare pochissimi testi, il che non è il massimo. Spero nel seguito di “coinvolgerne” almeno altri tre o quattro in modo approfondito in modo da diminuire il carattere soggettivo del post. Per quanto riguarda il testo di Althusser, che non conoscevo, è presente su Libgen (MD5:B71BAE88C591B59890C578E4F120BE4A). Lo leggerò senz’altro e ringrazio Eduardo per l’indicazione (…ma se volesse sbilanciarsi di più… lo ringrazierei maggiormente).
 
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MarcoMenic
view post Posted on 14/6/2014, 17:19




Vorrei ringraziare Institior per il riassunto, per i link, per le suggestioni. Non conoscevo il testo di Althusser e mi fa piacere averlo.
Se vale un commento, a me la stessa questione dei rapporti scienza/religione pare assai vecchia e l'animosità, cui in fondo mai sfuggono questi dibattiti, del tutto ingiustificata. Che la scienza non sia "il sapere oggettivo" ma una interpretazione del mondo, minimo minimo, lo sappiamo da Husserl; che la religione - che è poi il cristianesimo - sia _un_ modo di guardare la vita, mi pare pure scontato, almeno da Kierkegaard. Porli come due verità alternative, di cui una è maggiore dell'altra, fa pensare a Spencer.
Il precedente pontefice era assai più avanti di tanti intellettuali, compresi i cristiani.
 
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view post Posted on 15/6/2014, 11:18
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Sono d'accordo con Marco sull'idea che sia quasi sempre inutile tentare di "convertire" chi parte da premesse filosofiche lontanissime dalle proprie. E infatti Pievani non contesta a Mancuso la sua fede religiosa, ma il fatto che la voglia puntellare strumentalizzando, secondo lui, certi risultati della scienza.
Proprio per questo però obbietterei a Marco che anche il generale concetto di verità che lui sembra dare per oramai acquisito, può non essere condiviso. Anche richiamare Husserl non so se basti, visto che c'è chi considera il suo come uno dei casi più clamorosi di verbalismo inconcludente nella storia del pensiero contemporaneo. Tanto inconcludente e confuso che in fondo sarebbe anche discutibile che la sua volesse essere realmente una teoria della verità "debole". Diciamo che avrebbe voluto tanto partorirne una bella robusta, ma che alla fine a furia di scriverci sopra interminabili tomi (e per l'imprudenza fatale d'aver riletto Kant), gli venne fuori una creaturina fragile e diversamente forte, poi amorevolmente allevata sulla sua sedia a rotelle da ermeneuti e postmoderni.
Ma sono mie convinzioni personali, appunto. Anzi nel commento di Marco leggo un altro invito implicito a mettere in comune le letture piuttosto che le idee. Il che, come ho già accennato, non è che mi sia riuscito in modo molto soddisfacente nel contributo precedente. Non che voglia (o sappia) ridurre il tasso di soggettività, perché in fondo il prender partito in modo esplicito è anche un modo per aiutare chi legge a fare la tara delle parzialità e rende magari la prosa meno paludata e un po' più vivace. Ma certamente anche il dar spazio al proprio giudizio deve poi avere come sbocco finale quello di arrivare ad un'indicazione bibliografica ragionata e argomentata. Sperando di far meglio in seguito (e anche che qualcuno mi dia una lezione "pratica" di come si scriva un bel contributo bibliografico), ringrazio come sempre Marco per la buona volontà di seguire anche questo piccolo nostro forum.

Edited by Institor - 15/6/2014, 18:43
 
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eduardo58
view post Posted on 15/6/2014, 15:59




[MarcoMenic,14/6/2014, 18:19
Il precedente pontefice era assai più avanti di tanti intellettuali, compresi i cristiani]

Ne sei proprio sicuro?
Piccola bibliografia:
Anonimo, Contro Ratzinger 1 e 2 (entrambi su Dasolo,info)
Michele Martelli, L'antifilosofia di papa Ratzinger.Editori Riuniti
Vincenzo Ferrone, Lo strano illuminismo di Ratzinger. Laterza
 
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MarcoMenic
view post Posted on 16/6/2014, 13:40




Conosco soltanto i "contro RAtzingher" e non gli altri. Limitandomi a questi, e in generale alle prese di posizioni "scientiste" contro Ratzingher (e anche il suo predecessore) mi sembra che inventino una caricatura, attribuendo a questi pontefici tesi ottocentesche quasi fossero, entrambi docenti universitari di filosofia, dei sempliciotti. La difesa del tomismo di entrambi i pontefici non ha a che vedere con la superiorità della fede, unica, contro il relativismo scientista ma con la difesa di una linea filosofica, iniziata in GRecia, che tenta in vario modo, compreos il cristianesimo e la scienza, di lottare contro il nichilismo. Il relativismo con cui i due pontefici polemizzano, e che temono, non è quello scientifico bensì il nulla che equipara tutto, cancellando ogni certezza, comprese quelle scientifiche. Nella lotta dei due pontefici, scienza e cristianesimo stanno dalla stessa parte (e ci sta persino il marxismoe anche Adorno e Horkeimer) mentre dall'altra parte ci sono Gorgia e il consumismo, la commodificazione totale dell'uomo.
Aggiungo che anche io, ad una prima superficiale lettura, caddi nel tranello e solo le riflessioni di Glucksmann, immagino non sospettabile di simpatie cattoliche, mi hanno fatto ricredere.

CITAZIONE (Institor @ 15/6/2014, 12:18) 
E infatti Pievani non contesta a Mancuso la sua fede religiosa, ma il fatto che la voglia puntellare strumentalizzando, secondo lui, certi risultati della scienza.
Proprio per questo però obbietterei a Marco che anche il generale concetto di verità che lui sembra dare per oramai acquisito, può non essere condiviso. Anche richiamare Husserl non so se basti, visto che c'è chi considera il suo come uno dei casi più clamorosi di verbalismo inconcludente nella storia del pensiero contemporaneo.

Lo sperare di puntellare una fede con strumenbtalizzazioni ad hoc è fastidiosissimo e la posizione di Mancuso è indifendibile. Tra le due è la più debole, non ci sono, letteralmente, santi.
Non vorrei esser frainteso riguardo ad un concetto generale di verità. Il mio richiamo ad Husserl era, deliberatamente, quello di chiamare in causa un autore lontanissimo dalle mie posizioni - radicalmente storiciste - per giungere ad un terreno che immagino (immaginavo) largamente condiviso. Tra l'altro "La crisi" di Husserl è l'unico libro di Husserl che sono riuscito a leggere per intero...
Parlare qui è sempre un piacere :-)
 
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view post Posted on 17/6/2014, 16:30
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Il discorso sul ruolo di Ratzinger in effetti è interessante. Purtroppo lo scritto a cui accenna Marco (penso sia "Dio salvi la ragione" con interventi di Ratzinger, Glucksmann e di altri) non ce l'ho e nemmeno l'ho trovato in rete …se qualcuno avesse più fortuna.
Di quelli segnalati da Eduardo, l'Anonimo Contro Ratzinger c'è anche su Scribd (http://it.scribd.com/doc/35842065/Anonimo-Contro-Ratzinger); il terzo Lo strano illuminismo di Joseph Ratzinger parrebbe scaricabile su http://blog.libero.it/njoanieross/12828192.html, ma io non c'ho provato.

Ne approfitto anche per segnalare un assai più modesto intervento del 2011 (www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=40372) di Costanzo Preve (autore di non facile collocazione teorica), in cui, come fa anche Marco, difende in modo apparentemente sorprendente Ratzinger dalle critiche degli scientisti e soprattutto da quelle di Umberto Eco (definito "un brillante e superficiale rètore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione" …ruggine fra piemontesi). E' un intervento un po' sommario e scritto con la solita prosa arruffata, ma (anche qui come al suo solito) pieno di spunti interessanti e di cose che si vorrebbero capire meglio; tra l'altro tira in ballo anche Pievani e Mancuso.
Non posso esser sicuro di seguire gli argomenti di Preve in tutte le loro pieghe. Però mi sembra chiaro che quel che ammira in una figura come Benedetto XVI sia, al di là di idee religiose e filosofiche che non condivide, la sua capacità ed il suo coraggio di affermarle comunque dinanzi al secolo ostile (un coraggio tanto eroico, aggiungerei, che poi alla fine s'è dimesso esausto). Probabilmente anche questa ammirazione potrebbe derivare indirettamente dal progetto filosofico proprio del postmarxismo di Preve, cioè il tentativo di mettere in primo piano la capacità autoassertoria "fichtiana" del soggetto che si impegna ad affermare una propria verità pur sapendo in cuor suo che non è altro che una delle tante possibili.
Non so se anche la simpatia di Marco abbia la stessa radice. Per parte mia sono idee che parzialmente condivido, per quel che vale, ma non ho mai capito, nonostante abbia letto abbastanza di Preve, perché non abbia mai voluto metterle giù in modo più chiaro e brutale, come suo costume. In fondo era uno schema già chiaro in Weber e in Schmitt: l'uomo è un essere sradicato, circondato da una natura indifferente e da un universo per il quale è meno che nulla. Questo invece di toglierci il diritto o il motivo per imporre la nostra soggettività, è proprio ciò che la libera e le dà paradossalmente un valore più alto. Era peraltro quello che aveva detto anche Nietzsche. Ma Nietzsche intendeva infantilmente tale soggettività come singolo individuo in carne ed ossa. E così finiva per partorire nel migliore e più raro dei casi un Gabriele d'Annunzio (sia detto con tutto il rispetto per il grande poeta) e nel peggiore e quasi universale dei casi, il piccolo borghese egoista concentrato solo sulla centralità sottoomistica del suo ventre e del suo organo genitale. Weber, Schmitt e anche Preve (giusto per lasciare in pace Hegel) facevano invece riferimento alla soggettività collettiva di natura politica, che è discorso di ben altra, drammatica serietà; non per nulla Preve dal pensiero comunista si è poi avvicinato a quello comunitarista.
Può darsi che semplicemente non abbia letto con sufficiente attenzione Preve. Però davvero mi sembra che tutto porti lì, compreso appunto il discorso, cui accenna anche Marco, della deriva consumistica che sta svuotando ogni tipo di soggettività politica e sostituendo la Nazione con la Nazionale. Il mio sospetto è che, siccome sono idee che rischiano di portare ad assai "cattive compagnie" (già il nome di Carl Schmitt dice tutto), anche Preve, nonostante la sua libertà di parola, non se la sia sentita. Si sa, una cosa è tirare in ballo un Nietzsche o uno Schmitt in un discorso bello chiaro chiaro, e altro è farlo fra le virgolette e i trattini di un saggio alla Cacciari.
Ma magari, ripeto, sono io che ho equivocato. …Forse potrei ricorrere ai saggi di Diego Fusaro, non so (ma anche lì dovrei capirci qualcosa).
In ogni caso certe posizioni di Pievani, che sto cercando in questa discussione di esaminare, hanno molto a che fare con questi problemi; lo stesso Preve con la sua lucidità finisce per rilevarlo. Cercherò di seguire questa traccia per quel che mi riesce.

Chiudendo approfitto dell'occasione per ricordare ancora una volta Preve, questo intellettuale così atipico e spesso anche così sconclusionato ma che era anche così capace di far pensare e, a volte – mirabile a dirsi - di far capire. Da un certo punto di vista un vero Socrate per i nostri tempi. Ma, naturalmente, non c'è più...

Edited by Institor - 11/4/2015, 13:56
 
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eduardo58
view post Posted on 23/6/2014, 09:18




Intervengo con ritardo, perché il mio computer ha preso la deprecabile abitudine di fare lunghi soggiorni presso il laboratorio del tecnico. Devo approfittare dei rari momenti in cui mio figlio lascia libero il suo.
Ho dovuto sospendere le scansioni per il progetto materialismo, alcune già fatte e pronte per essere elaborate sono andate perdute.
Pertanto il progetto subirà un notevole ritardo. Chiedo scusa ai tanti che lo seguono e che con le loro visite e i loro
downloads mi incoraggiano a proseguire.
Spero di riprenderlo con un libro non previsto: La teoria della verità nel materialismo e nell'idealismo di Adam Schaff.
Pur non essendo un libro recente, l'edizione italiana porta la data del 1959, mi ci sono imbattuto da poco.
Conoscevo altri lavori di questo filosofo franco-polacco dedicati alla storia, al concetto di scienza e quello di persona.
Rispondo ora a MarcoMenic.
Il piatto forte della mini-bibliografia erano proprio i due libri che dichiari di non conoscere, del resto uno degli scopi di una bibliografia è proprio questo, allargare le conoscenze.
Michele Martelli è professore di Filosofia morale all'Università di Urbino.
Tra i suoi numerosi lavori segnalo: Il secolo del male. Riflessioni sul Novecento. Manifestolibri
Vincenzo Ferrone, invece, è professore di Storia moderna presso l'Università di Torino.
E' studioso del secolo dei lumi a cui ha dedicato numerosi lavori, tra gli altri si veda: Una scienza per l'uomo. Illuminismo e Rivoluzione scientifica nell'Europa del Settecento. UTET
Quindi, niente "scientismo" (ma mi chiedo: è lecito liquidare posizioni che non ci piacciono applicando semplicemente un'etichetta di comodo?).
Ma se non sono gradite queste posizioni "laiciste" (altra etichetta) si può vedere il numero monografico che l'agenzia cattolica Adista ha dedicato a Ratzinger in occasione della sua abdicazione, o i numerosi interventi (articoli, interviste, libri) del teologo cattolico Hans Kung.
Ringrazio Institor per le ricerche che ha fatto sull'eventuale reperibilità in rete dei testi citati. Spero voglia continuare a farlo dato la mia impossibilità per la causa su detta e invito MarcoMenic a indicare a sua volta delle fonti per le sue affermazioni, per es. "mi sembra che inventino una caricatura, attribuendo a questi pontefici tesi ottocentesche" Chi?
 
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10 replies since 9/6/2014, 11:25   1150 views
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